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Ottobre 2017

VERGINE DEL CARMELO E SPOSA DEL LIBANO - Messaggio per la nazione libanese

Kfarsama-Mechmech chiesa di san Pio, Veglia del 5 aprile 2014

Cari figli devoti in Cristo,
colui che presto verrà e porterà la pace sull’intero universo: egli vi benedice col suo sangue prezioso.
Io sono la Sposa della Famiglia, colei che in questa nazione, voi venerate come “Vergine del Carmelo” ma, ora, io voglio essere venerata come “Sposa del Libano”, e vi chiedo: consacratemi le terre e i popoli discendenti da Abramo. Trasmettete questa mia richiesta ai responsabili delle varie comunità cristiane.
Ancora un poco e la vostra terra ritroverà il suo antico splendore sotto colui che ama l’intera sua creazione.
I frutti da lui posti nel mio grembo devono maturare; voi ed io pregheremo affinché ciò avvenga, e lotteremo, non con armi create dal demonio, ma con l’arma che usa Dio: l’amore.
Ancora un poco di tormento e la vostra terra, benedetta da Dio, vedrà la grande benedizione che, tramite mio Figlio, riceverà, e non solo la vostra terra ma l’intero universo. La pace di mio Figlio scenda su di voi.

 


 

Il messaggio per i cristiani libanesi fu ricevuto da Giulio nel contesto del pellegrinaggio in Libano che organizzammo dal 4 al 7 aprile 2014.
Prima di leggerlo, può essere utile ripercorrere le tappe principali di quel memorabile viaggio. Giunti all’aeroporto di Beirut nel pomeriggio di venerdì 4 aprile, raggiungiamo l’hotel ad Aannaya, a circa 60 km da Beirut, vicino al monastero di san Charbel, una delle principali mete di pellegrinaggio in Libano. Sabato mattina il gruppo si divide: in quattro partiamo per Bechouat, piccolo paese della valle della Bekaa, al confine con la Siria. La popolazione è a stragrande maggioranza musulmana sciita, il che ha trasformato questa valle in una roccaforte di Hezbollah, il “Partito di Dio”, la potente organizzazione politico e paramilitare libanese, con posti di blocco e campi di addestramento militari sparsi un po’ ovunque. All’ingresso dei villaggi che attraversiamo campeggiano grandi poster dell’ayatollah Khomeini e di fanciulli in tuta mimetica che imbracciano fucili mitragliatori. Sparse qua e là per la campagna, le misere tende di fortuna dei profughi siriani.
La zona, nota per il diffuso traffico illegale di armi e droga, è decisamente poco sicura e sconsigliata ai turisti, che vi giungono per lo più attratti dal grandioso sito archelogico di Baalbek.
L’autista del taxi è un libanese di fede cristiana con il quale, durante le circa tre ore di viaggio, si è sviluppato un dialogo spirituale molto profondo incentrato su tema del perdono nelle relazioni familiari.
Col procedere del viaggio anche il drammatico racconto di quest’uomo si fa sempre più intimo e sofferto fino a che, in un clima di emozione crescente che tutti coinvolge, Giulio gli preannuncia, da parte di Maria, un grande dono di guarigione per la moglie e per il figlio se lui è disposto a promettere un certo atto di perdono: accetta e, frenando bruscamente la macchina sul ciglio della strada, scoppia in un intenso pianto liberatorio.
Ancora provati dalla forte emozione riprendiamo il nostro viaggio, determinati ad arrivare a Bechouat dove si trova una chiesa dedicata alla Santa Vergine in cui è custodita una copia della statua di Notre-Dame de Pontmain, località francese in cui nel 1871 quattro bambini ebbero un’apparizione mariana.
Il manto blu di questa statua è punteggiato da una miriade di stelle che secondo Genesi 15,5 rappresentano la numerosa discendenza di Abramo. Dall’agosto del 2004 questa statua e la chiesa che la ospita, sono divenute famose per le numerose grazie di guarigione elargite, in particolare, ai tanti fedeli musulmani che vi si recano in pellegrinaggio un po’ da tutto il Medioriente. Giunti a destinazione, dopo un tempo di preghiera personale, celebriamo l’eucaristia.

Bechouat: chiesa di Nostra Signora, cappella con la statua della Vergine

Durante la recita del Padre nostro, alle nostre spalle, sentiamo due voci femminili che in italiano si uniscono alla preghiera. Giulio, voltatosi verso di loro, vede delle catene spezzarsi intorno a una di esse. Si tratta di una madre e una figlia, di origine italiana residenti entrambe in Canada. La mamma è venuta a trovare la figlia, che da circa nove mesi risiede a Bechouat, seguita da un sacerdote esorcista del luogo perché è da anni disturbata dal demonio a causa di un grave maleficio fattole in Canada. L’immagine delle catene spezzate è il segno dell’avvenuta liberazione dal demonio. L’emozione delle due donne è grande, e anche noi ci uniamo alla loro gioia mangiando insieme in un piccolo bar delle strane spianate di farina arrotolate con un ripieno di verdura. Segue l’incontro con padre Philemon Selwan, parroco di Bechouat e il rientro ad Aannaya dove ci attendono i nostri compagni di viaggio che, nel frattempo, hanno dedicato l’intera giornata alla preghiera in alcuni dei principali santuari libanesi: San Charbel, Santa Rafqa e San Al-Hardini.
Domenica mattina, tutti insieme, ripartiamo verso sud, attraversando la zona musulmana dove più evidenti sono i segni delle violenze e della guerra: la zona è piena di posti di blocco per il rischio di autobombe a causa della vicinanza di “siti sensibili” (uffici pubblici, chiese, moschee, ecc.).
Oggi, la nostra meta è una cittadina tra i monti a sud di Beirut, in zona drusa, una setta musulmana molto autonoma, sorta nell’XI secolo da una scissione nell’islam sciita, e spesso in lotta contro i cristiani. Siamo diretti al santuario mariano di Deir El Qamar nello Chouf, eretto a ricordo del massacro di trentamila cristiani avvenuto nel 1800 proprio per opera dei Drusi.
E’ qui che incontriamo un anziano frate che presta servizio in questo santuario. Dopo un curioso scambio di battute con Giulio, l’anziano frate fa per ritirarsi, mentre Giulio lo insegue dicendogli che ha un messaggio per lui da parte di Dio e cioè la risposta alla domanda che da tanti anni nelle sue preghiere rivolge a Dio sul perché del mancato adempimento della promessa fatta ad Abramo e dello scorrere di tanto sangue e odio tra ebrei, cristiani e musulmani soprattutto in queste terre.
La risposta di Dio è che questa promessa sta per adempiersi proprio in quest’epoca, per portare benedizione a tutte le famiglie della terra, cominciando proprio dai figli primogeniti di Abramo.

Nel santuario di Deir El Qamar

L’anziano frate, piangendo, rispose che erano ottant’anni che aspettava questa risposta e si allontanò commosso, mentre noi, attoniti, avevamo l’impressione di aver assistito a una riedizione moderna dell’incontro col vecchio Simeone nel tempio di Gerusalemme! Nel pomeriggio andiamo a Damour, a sud di Beirut dove ha sede l’Associazione “Oui pour la vie” che da oltre 12 anni, con i suoi giovani volontari, si prende cura dei più poveri (attualmente, soprattutto i profughi dalla Siria). I giovani di “Oui per la vie” sono una bella testimonianza di cristianesimo vissuto. Alcuni di loro giungono a dare, tutti i mesi, anche un terzo dello stipendio per i loro fratelli più sfortunati. Dopo aver pregato insieme, lasciamo loro le offerte raccolte a Mazzo nei mesi precedenti (una goccia nel mare delle necessità di questi campi profughi), e ripartiamo per il santuario di Notre Dame du Liban ad Harissa, a circa venticinque chilometri da Beirut.
Situata su una collina che sovrasta la cittadina costiera di Jounieh, Notre Dame du Liban è una chiesa modernissima a lato di un’enorme statua luminosa di Maria che, dall’alto di una torre a spirale, domina la vallata con le braccia aperte rivolte verso il mare. Qui, dopo la preghiera personale, c’è il nuovo incontro con l’amico taxista, ancora visibilmente commosso e con sua moglie e il loro secondo figlio, venuti per capire meglio e ringraziare la Santa Vergine per le grazie ricevute. Sul finire del giorno è ancora notevole l’afflusso dei pellegrini presso il santuario, anche questo è un segno di quanto sia viva nel cuore dei libanesi la venerazione per Maria.
Lo storico francese, Ernest Renan, nel suo libro sulla spedizione archeologica in Libano del 1864, intitolato Mission de Phénicie, scrisse:

"Il culto della Vergine è profondissimo presso le genti del Libano e costituisce il grande ostacolo agli sforzi dei protestanti presso quei popoli. Essi cedono su tutti i punti, ma quando si tratta di rinunziare al culto della Vergine, un legame più forte di loro li trattiene".

I libanesi amano molto associare la figura di Maria alle immagini bibliche dei monti del Libano e dei famosi cedri, che fin dall’antichità ispirarono profeti, scrittori, poesie, canti e preghiere dell’Antico Testamento. Immagini spesso riprese dai Padri della Chiesa in chiave mariana, per cui la Vergine Maria è l’Amata del Cantico dei Cantici, la Sposa che “viene dal Libano”, che s’innalza "come i cedri del Libano", e il cui profumo è "come il profumo del Libano".
Nel corso di questo pelegrinaggio, la presenza di Maria è stata forte, e in alcuni momenti particolari, come a Bechouat e, soprattutto, nel villaggio di Kfarsama, a Mechmech, dove sabato 5 aprile abbiamo celebrato una veglia di preghiera presso la chiesa di San Pio, lei si è manifestata per comunicare a Giulio il bellissimo messaggio che abbiamo letto, rivolto alle comunità cristiane e all’intera nazione libanese, a cui chiede di essere venerata col nuovo titolo di “Sposa del Libano”.
Ai responsabili delle diverse comunità cristiane chiede la Consacrazione delle terre e dei popoli discendenti da Abramo.
La frase “i frutti da lui (Dio) posti nel mio grembo devono maturare”, va compresa tenendo conto che nell’apparizione a Kfarsama, Maria si è presentata a Giulio con un cesto sul grembo contenente tre frutti diversi e non maturi, che rappresentano proprio i tre popoli primogeniti di Abramo - ebrei, cristiani e musulmani - che Maria, sta facendo crescere nel suo grembo. Quest’idea di una “maternità spirituale” di Maria verso i tre popoli discendenti di Abramo era già emersa nel messaggio del 4 marzo 2009, in cui la Santa Vergine si era autodefinita “Madre dei figli di Abramo e delle loro nazioni”, colei che, meglio di chiunque altro, può aiutare queste nazioni a crescere e maturare nella conversione verso il Messia.

Fin qui il racconto del viaggio in Libano. Questa notte si parte per la Palestina, per alcuni giorni di preghiera ad Hebron, presso le Tombe dei Patriarchi, e per una serie di incontri con alcuni responsabili della comunità ebreo-messianica e del patriarcato latino di Gerusalemme, con la famiglia Nassar, fondatrice dell’iniziativa per la pace in Palestina denominata “Tenda delle Nazioni”, e con alcune esponenti del movimento interreligioso Women Wage Peace formato da migliaia di donne ebree, cristiane e musulmane che con molta determinazione e coraggio lottano in modo nonviolento per la cessazione del massacro e dell’immolazione dei propri figli e mariti sull’altare dell’idolo della guerra infinita israelo-palestinese.
Alla preghiera di voi tutti affidiamo la buona riuscita di queste iniziative che ci aiutano a capire meglio cosa vuol dire essere “operatori di pace”, e anche la buona riuscita di questo viaggio, secondo le intenzioni di Maria “Sposa del Libano”, dei popoli e delle terre mediorientali.

Un caro saluto a tutti!

p. Associazione Sposa di Sion
il presidente
Angelo Ansalone